Domenica 6 aprile, ho avuto occasione di assistere al concerto dei Kayleth, che si sono esibiti prima dei Nightstalker, sul palco dell’ArciTom di Mantova.

Il quintetto veronese mi è piaciuto molto e ho avuto il piacere di conoscere Michele Montanari, che dietro al suo synth apporta un grande contributo alla band.

Michele, gentilissimo, mi ha dato la sua disponibilità a rendersi portavoce della band, concedendomi una bella chiacchierata, che mi ha permesso di conoscere più a fondo questa bella realtà del nostro Paese.

Se non li avete mai ascoltati o non avete mai assistito ad un loro live, fatelo!

Ecco a voi l’intervista completa:

Ciao Michele! Com’è nata la band Kayleth? Come nasce il vostro nome? Ci racconti un po’ della vostra storia?

I Kayleth nascono nel lontano 2005 (quest’anno celebriamo i 20 anni assieme) a San Bonifacio (VR) da un’idea dei fondatori, tra cui Massimo Dalla Valle (attuale chitarrista) a cui si sono poi aggiunti Enrico (voce), Daniele (batteria), Alessandro (basso) ed infine io (sintetizzatori).

Il nome della band deriva da un racconto di Isaac Asimov, dove Kayleth appunto, è un tiranno che cerca di sottomettere un intero pianeta e gli abitanti si organizzano per spodestarlo. 

Tutti noi eravamo accomunati dal desiderio di creare una band per poter esprimerci musicalmente scrivendo pezzi originali. La formazione è stabile da molti anni e questo ha creato un forte legame che ci permettere di essere affiatati e in sintonia, tanto da produrre quattro EP ed altrettanti album. 

Il vostro sound ha forti influenze stoner e space rock: quali sono i vostri riferimenti principali?

Sicuramente Kyuss, Monster Magnet ed Orange Goblin, ma le vere influenze personali sono quelle che caratterizzano la nostra musica. Veniamo tutti da generi diversi: metal, punk, elettronica, etc. e questo crea un mix particolare, i Kayleth appunto. 

Come nasce una canzone dei Kayleth? Avete un processo creativo preciso o varia di volta in volta?

Tutti i nostri brani nascono da jam session in sala prove, molto spontanee e libere. In questo modo il flusso creativo scorre senza limitazioni e poi ci dedichiamo alla struttura e al testo.

Dopo qualche settimana risuoniamo i brani e se ci convincono, per noi sono pronti per la registrazione ed i concerti.

“New Babylon” è un album molto potente: cosa vi ha ispirato durante la sua realizzazione?

Come il precedente, anche “New Babylon” è un concept album.

Sono trascorsi ormai 4 anni dal nostro ritorno sulla terra in “2020 Back to Earth”. Lì avevamo trovato un luogo freddo e inospitale, l’umanità era incanalata in modo inesorabile sulla via dell’estinzione. Abbiamo deciso quindi di fuggire subito alla ricerca di un altro pianeta dove poter abitare.

Siamo quindi giunti a New Babylon, un pianeta abitato da umanoidi ma anche da creature mostruose e fameliche. Ci sono “giganti” che marciano alzando nuvole immense di polvere, rubando e depredando tutto alle persone. Giganti molto simili alle nostre corporation, non conoscono sconfitta e non hanno debolezze, almeno apparenti.

Ci sono vecchi guerrieri come Jarek che aspettano la guerra per sentirsi eroi, per sentirsi vivi. Trovano la loro dimensione all’interno della battaglia, in cui il confine tra eroe e assassino magicamente sfuma.

Ci sono piramidi erette da uomini che si credono Dio e trasformano le cose che la vita gli dona in armi e morte, cambiandone l’uso e il significato. Uomini piccoli che si pensano onnipotenti, seppellendo la conoscenza del funzionamento della vita sotto pile di bugie.

Troviamo una miriade di schiavi, arresi a vivere in enormi mangiatoie. Non faticano in nulla e non trovano significato in nulla. 

Insomma, ci rendiamo conto di essere arrivati in un mondo molto simile alla terra. Siamo alieni ma in un certo modo ci sentiamo a casa. Vogliamo conoscere, capire, evolverci. Non ci riconosciamo in questa umanità ingannata, non cediamo, crediamo. La natura, la vita è meravigliosa, ma quando una cosa perde la sua utilità la vita gli spiega gentilmente che è ora di fare spazio a qualcos’altro. 

Nelle vostre tracce c’è spesso un’atmosfera psichedelica e spaziale: che ruolo ha la fantascienza nel vostro immaginario?

Totale! Nel senso che siamo tutti appassionati sfegatati di cinema, fumetti e libri a tema fantascientifico. Durante la nostra infanzia questi erano le vie di fuga dalle difficoltà di crescere in una campagna nebbiosa, dominata da grigie fabbriche e distese di coltivazioni.

Anche la psichedelia ci ha sempre accomunato, dalla musica (Pink Floyd) alla spiritualità intrinseca. 

Siete soddisfatti del riscontro del pubblico per i vostri album e i vostri live? 

Assolutamente sì, anche se ogni nuovo album ci crea un po’ di ansia da prestazione, perché il nostro sound e la nostra scrittura progrediscono e non sappiamo se verranno accolte positivamente. Poi il pubblico ci dimostra il suo calore e supporto, così l’adrenalina prende il posto dell’incertezza e riversiamo la nostra energia durante i concerti.

Qual è stato il live che vi è rimasto più impresso e perché?

A dire il vero sono tanti, ma probabilmente il più recente al Bear Stone Fest 2024 a Slunj (Croazia). Lì abbiamo vissuto l’essenza di un festival immerso tra le colline, laghi e fiumi, dove noi ed il pubblico abbiamo vissuto un weekend all’insegna della musica e la condivisione. La mancanza di connessione internet ha creato un ambiente magico, unico a nostro avviso. Il nostro stage era in un vecchio mulino sopra il fiume, con un set “luci” creato da specchi tenuti da artisti che si muovevano attorno al palco. Un’esperienza unica che consigliamo a tutti di fare.

Ci racconti un aneddoto divertente che vi è capitato in questi anni? 

Ce ne sono tanti, dalla gara di bestemmie tra Veneto-Toscana-Marche nel backstage, il concerto in giornata con tanto di trasferta Verona-Napoli-Verona in 24 ore. Ce ne sono tanti altri che ricordiamo con piacere e raccontiamo prima e dopo i concerti, con i fan.

In un panorama musicale che cambia continuamente, come riuscite a mantenere la vostra identità?

Con la spontaneità che ci ha sempre contraddistinto. A livello musicale siamo sempre stati aperti a contaminazioni e collaborazioni con altri musicisti.

Al giorno d’oggi, assistiamo ad un dominio della musica liquida che spesso viene fruita attraverso un sistema mordi e fuggi. Questa tendenza è poco incline a quell’ascolto attento che richiederebbero molti generi, tra i quali rock e metal, caratterizzati da suite, concept e composizioni che perdono senso se vittime dello skip compulsivo. Allo stesso tempo le piattaforme facilitano la scoperta di nuova musica e possono quindi essere una risorsa sia per gli artisti che per gli appassionati. Qual è il vostro punto di vista su questo argomento? 

Per quanto riguarda gli strumenti di promozione, comunicazione e distribuzione, cerchiamo di adattarci ai nuovi trend, anche se spesso non li condividiamo, primo fra tutti Spotify. 

Negli anni la filiera della musica si è allungata a dismisura e i guadagni per le band stanno praticamente scomparendo. A breve questo distruggerà la creatività e di conseguenza, il mercato.

Abbiamo notato con genuina ammirazione che è in corso un parziale step-back, ovvero compilation su CD che vengono regalate ai concerti, eventi DIY, etc. Forse stiamo razionalizzando che questa corsa estenuante ha bisogno di uno stop tecnico perché la musica e l’arte si riprendano il proprio spazio.

Negli ultimi anni si registra però anche un prepotente ritorno del disco in vinile. I sondaggi ci raccontano che non è solo appannaggio dei nostalgici, perché sono parecchi i giovani che si sono avvicinati al mondo della puntina. Credi che sia solo una tendenza di passaggio? Questione di moda e collezionismo o dichiarazione d’amore al supporto fisico? 

La musica non deve essere un sottofondo mentre si fa altro, ha bisogno di spazio e tempo per essere assaporata, capita e fatta nostra. Per questo i supporti fisici hanno gettato le basi per un ascolto attivo, un momento dedicato ad ascoltare un buon vinile o cd e farsi trasportare in un’esperienza creativa.

Ammirare la copertina, leggere i testi, capire il messaggio dell’artista, fa parte di un momento intimo e a volte spirituale.

Leggereste un buon libro, guardereste una rappresentazione teatrale o ammirereste un’opera d’arte facendo dell’altro? 

Cosa ne pensate della scena underground italiana che gravita attorno al mondo del rock? A livello di qualità delle band e della partecipazione del pubblico, percepite differenze sostanziali tra lo Stivale e gli altri Paesi? 

La qualità è molto alta, ovunque e questo è un buon segno. Anche le band più giovani si stanno creando il loro seguito, e non potremmo esserne più felici. 

Ringraziamo anche quelli che, come te Marco, sostiengono l’underground dedicando il loro tempo scrivendo, filmando, condividendo, etc. 

L’affluenza ai concerti è influenzata da molti fattori ed in Italia possiamo aumentarla abbassando l’ IVA sulla cultura e azzerando i costi SIAE, almeno per i concerti sotto un numero limitato di paganti. 

I circoli sfruttano il tesseramento per gli sgravi fiscali, ma gli altri locali devono poter avere una chance per promuovere musica ed arte.

In Europa ogni stato ha un approccio diverso, in Italia abbiamo ancora molta strada da fare.

Molti affermano che latitano le nuove proposte musicali interessanti. Io non sono molto d’accordo e credo sia spesso solo una questione di mancanza di ricerca. Tante volte ci si limita a fagocitare quello che viene propinato da un mainstream che in questo periodo non tende sicuramente la mano al rock. C’è qualche nuova realtà che vi ha particolarmente colpito e volete segnalarla ai nostri lettori? 

Siamo assolutamente d’accordo con te, ci sono tante proposte interessanti e basta cercarle con un minimo di impegno: concerti, recensioni su fanzine e blog, utilizzando i tag giusti su Bandcamp, basta non essere pigri!

Sognare non costa nulla. Allora ti chiedo: se doveste scegliere con chi fare una collaborazione con chi la fareste? 

Ad essere sinceri, all’inizio sognavamo spesso di fare un featuring con artisti famosi del genere, ma abbiamo sempre preferito farci guidare dall’istinto come per la collaborazione con Mauro “Mamao” Padoani (sax in “Lost in the canyons”) e quella con Alessandro Antonello dei Ragnarok Nordic Viking Folk (voce e strumenti in “New Babylon’s wall”).

Penso che seguiremo questo trend, che ci ha regalato grandi soddisfazioni, anche dal lato umano.

E in quale location sognate di esibirvi? 

Direi al Desert Fest, ma se possiamo sognare e puntare in alto, al Duna Jam in Sardegna!

Torniamo a parlare di fatti concreti. Avete in programma nuove uscite discografiche? 

“New Babylon” è uscito meno di un anno fa, e conoscendoci, a brevissimo inizieremo a scrivere nuovi brani. Abbiamo già delle idee e vorremmo anche fare un ennesimo step-up, vedremo cosa ne uscirà.

Ci sono date live che volete comunicare a chi ci legge? 

Il 21 Giugno suoneremo ad un festival a Il Borgo di Montebello Vicentino (VI), ma ne abbiamo altre da confermare, le troverete a breve sui nostri canali social. 

Cosa possiamo aspettarci dal futuro dei Kayleth?

C’è aria di evoluzione, questi vent’anni di attività ci hanno fatto crescere molto come musicisti, ma anche come persone. Il nuovo disco sicuramente conterrà alcune novità, vedremo cosa ci riserva il futuro, siamo curiosi quanto voi.

Ti ringrazio per la lunga chiacchierata e lascio a te lo spazio per concludere. 

Grazie Marco per lo spazio e per tutto quello che fai per la musica underground, persone speciali come te ci riempiono il cuore di affetto e stima, ringraziamo molto i nostri fan, la nostra etichetta Argonauta Records e le nostre famiglie. 

A tutti quelli che ci stanno leggendo, diciamo: supportate l’arte, siate curiosi e cercate di esprimervi con tutti i vostri mezzi!

Comments are closed.