E con questa siamo a meno una. Già, perché l’appena conclusasi ventinovesima edizione del Festival Beat di Salsomaggiore Terme (PR), è servita non solo da ideale preambolo all’edizione numero 30 del prossimo anno, ma anche a dimostrare che, da quando ha ufficialmente riaperto i battenti l’anno scorso dopo il lungo stop dovuto a pandemia, la splendida kermesse musicale del parmense gode
più che mai di ottima salute.
Sul palco della rinnovata location del centralissimo Parco Mazzini, che già dal 2022 ha rimpiazzato l’area concerti di Ponte Ghiara, si sono succeduti, proponendo musica di alta -quando non addirittura, altissima- qualità, gli artisti che hanno animato questa nuova, attesissima edizione del Festival.
Una particolare menzione di lode spetta, ovviamente, all’headliner Jim Jones alla guida della sua nuova, scintillante creatura, Jim Jones All Stars.
Costretti dall’inatteso accanirsi di Giove Pluvio sui cieli del parmense ad esibirsi il sabato anziché il venerdì come previsto in origine dal programma, Jones e i suoi hanno regalato al numeroso, focoso, nonché sempre competente pubblico che ogni anno accorre da ogni parte d’Italia (e spesso, anche dall’estero), un’esibizione a dir poco intensissima, al ritmo del più duro, sferzante e selvaggio garage rock con forti influssi soul e rhythm’n’blues. Chitarre a tratti ‘minimal’ ma sempre presenti, fiati che viaggiano a mille, tastiere fluide e melodiche, una sezione ritmica che -manco a dirlo- picchia davvero duro, e un sound tra James Brown e Graham Parker & The Rumour frullati alla massima velocità: questa è la ricetta vincente dei Jim Jones All Stars. Sembra quasi superfluo dirlo, ma se ne avete l’occasione, in Italia oppure all’estero, andate a vederli. Ne rimarrete a dir poco estasiati quanto inevitabilmente e meravigliosamente frastornati, dati i volumi spesso molto elevati con cui il cantante e chitarrista albionico e i suoi prodi sono soliti esibirsi.

La nostra Italia non ha comunque affatto sfigurato davanti a queste autentiche leggende del rock inglese. La serata di giovedì, propone in apertura gli emiliani Cut. Guidati dalla voce, dalla presenza scenica, e da tutto il carisma di Ferruccio Quercetti, i Cut sono una vecchia conoscenza dei lidi parmensi da quando infiammarono nella loro prima, tellurica esibizione, l’ahinoi defunto Arci Taun di Fidenza, ormai diversi anni or sono. Il loro show di questa sera, probabilmente non aggiunge nulla di nuovo (a parte, ovviamente, presentare in versione ‘live’ i brani del loro nuovo album, “Dead City Nights”, uscito a febbraio di quest’anno), ma ribadisce a chiare lettere che l’indomito trio bolognese, con il suo alternative rock guizzante e nervoso, è ormai una certezza consolidata sia a livello nazionale, che internazionale.
Ai Cut hanno risposto The Midnight Kings, da Verbania. “Dance! Dance! Dance!” sembra essere il motto di questo frizzante ed energico sestetto piemontese, ed infatti la loro proposta musicale è un riuscitissimo melange di soul, rhythm’n’blues e rock’n’roll anni ‘50 che trasferisce la sponda occidentale del Lago Maggiore nel sud degli Stati Uniti, facendo ballare tutti i presenti come dei forsennati per tutta la durata del loro set. Complimenti davvero a questi simpatici e grintosi rockers ossolani, il rock’n’roll è anche e soprattutto musica che deve animare ogni festa che si rispetti, e pochi altri festival nella nostra penisola possono fregiarsi dell’epiteto di autentiche feste della Musica, al pari del Festival Beat!
Purtroppo, come già rimarcato in precedenza, la serata di venerdì ha visto l’inatteso peggioramento delle condizioni metereologiche, costringendo gli organizzatori a spostare tutti i concerti presso il Circolo Bocciofila Salsese. Certo una location meno capiente rispetto alla Pinko Arena situata all’interno del Parco Mazzini, ma che rivela un’inaspettato fascino ‘retrò’ molto apprezzato dagli ‘aficionados’ del Festival.
Dopo l’inattesa defezione dei praticamente esordienti italiani Animaux Formidables, il cui album di debutto, “We Are All Animals” è uscito a febbraio di quest’anno, ci hanno pensato Breanna Barbara e le Darts, entrambe provenienti dagli Stati Uniti.

La Barbara, newyorkese d.o.c. (arriva dal Queens, quartiere d’origine dei Twisted Sister) era un po’ uno degli ‘oggetti misteriosi’ di questa 29ma edizione del Festival Beat. Guardata con un certo scetticismo da numerosi dei presenti a causa del suo look, che include un costume di scena disegnato da nientemeno che Gucci, Breanna e i musicisti che l’accompagnano sul palco sono tutt’altro che degli sprovveduti, dediti a un garage rock dalle forti venature psichedeliche, a tratti invero un po’ ‘leggerino’, ma non del tutto privo di qualche originale ‘guizzo d’autore’. Ignoro la reale età della cantante e chitarrista newyorkese, ma sembra giovane, e con abbastanza frecce al suo arco da giocarsi nell’arco di almeno un lustro. Diamole dunque il tempo di farsi un nome e una reputazione, e soprattutto, di maturare musicalmente attraverso un’intensa attività live.
Ben altra esibizione, anche per la fama di ‘dure’ del garage rock che le precede, quella delle nerissime (nel look) e a tratti veramente ‘heavy’, Darts. La band capitanata dalla cantante e organista Nicole Laurenne, ha, fin dalle note dell’opener “My Heart Is A Graveyard”, dimostrato i propri, ‘bellicosi’ intenti:non solo far ballare –com’è ovvio- i presenti, ma letteralmente seppellirli sotto una coltre di potentissimo, a tratti quasi oscuro e sinistro, garage rock di ottima fattura. La band s’è inoltre presa la briga di presentare ben 4 nuovissimi brani che faranno parte del prossimo disco in studio, già annunciato per la prima metà del 2024.

Tornando alla serata di sabato, è stato un peccato assistere ad uno show ahimè piuttosto incolore degli americani Gringo Star. Va tuttavia sottolineato come la responsabilità di un concerto non entusiasmante, non sia da attribuirsi alla band di Atlanta, Georgia, quanto ad una scelta non felicissima di suoni e volumi, che ha finito per penalizzare la riuscita del loro show.

Lo stesso dicasi per gli ottimi, ma nel caso di questa edizione del Festival Beat, davvero oltremodo sfortunati, Shannon And The Clams. Un concerto funestato dall’improvvisa perdita della voce da parte della cantante e leader Shannon Shaw, che costringe il pur (vocalmente) competente chitarrista Cody Blanchard ad assumersi l’onere di fare anche da voce solista per buona parte del set. Per quanto in possesso di una buona voce, Blanchard non può competere in alcun modo con la splendida timbrica della Shaw, autentico ‘marchio di fabbrica’ della band originaria di Oakland, California. Un vero peccato, dunque, vedere degli headliner di indiscusso valore ‘annaspare’ per via di problemi indipendenti dalla propria volontà, motivo per cui attendiamo di rivedere presto in azione Shannon & The Clams al Festival Beat, con un’esibizione che riscatti appieno quella di quest’anno.

Fortunatamente, per la gioia di tutti i presenti, gli italiani Yonic Xouth, con il loro particolare sound garage rock non del tutto alieno da contaminazioni new wave o math-rock. hanno garantito un’esibizione di primissimo livello, nonché forse l’unica degna di competere con quella, davvero strabiliante, di Jim Jones All Stars.

L’ultima, piacevole sorpresa, è poi arrivata nella giornata conclusiva del Festival, ovvero quella di domenica, da sempre quella più tradizionalmente ‘tranquilla’ della kermesse di Salsomaggiore, ma che ha visto gli ottimi Lu Silver String Band, in passato già scelti dagli organizzatori come band di chiusura del Festival Beat, prodursi in una vibrante esibizione pregna di rock’n’roll ad alto voltaggio, per dirla alla maniera degli australiani AC/DC.
La loro musica non è, in realtà, molto imparentata con il beat o il garage rock nell’accezione più tradizionale del termine, ma presenta molti più punti di contatto con il sound di giganti degli anni ‘60 e ‘70 come Rolling Stones e Led Zeppelin (bellissima la loro versione di “Dead Flowers” di Jagger, Richards & Co. proposta questa sera), come poi ampiamente dimostrato dalle cover -entrambe autentiche ‘chicche’ per intenditori – di “Betty Lou Is Gettin’ Out Tonight” di Bob Seger & The Silver Bullet Band, e soprattutto, “Hard Road” del compianto Steve “Stevie” Wright, già cantante degli storici australiani Easybeats di George Young e Harry Vanda.
In definitiva, un’edizione quella appena conclusasi del Festival Beat, che pur riservando diverse sorprese, ha confermato un’importante affluenza di pubblico e soprattutto, garantito musica di (spesso) elevatissima qualità, candidandosi verosimilmente come una delle edizioni meglio riuscite degli ultimi anni.
Preparate dunque fin d’ora bottiglie di buon vino (non necessariamente champagne!) e bicchieri, e tutti pronti all’edizione del trentennale, che si preannuncia come un’esperienza sonora -e non solo- da non perdere per nulla al mondo!
Niccolò Ludovici
Comments are closed.